Roma, 19 set. (LaPresse) - Oltre un miliardo di persone in tutto il mondo non ha accesso all'assistenza sanitaria e i bambini che vivono in condizioni sociali, culturali ed economiche più svantaggiate vanno incontro a maggiori probabilità di morire prima dei 5 anni.
Nell'Asia Meridionale, già colpita da un tasso di mortalità altissimo, i bambini nati in famiglie che appartengono al quintile di reddito più povero ha più del doppio delle probabilità di morire rispetto ai loro coetanei nati in famiglie più benestanti. La disuguaglianza, tuttavia, non esiste solo tra nord e sud del mondo, ma anche all'interno dello stesso Paese. Ad esempio, in alcuni dei paesi in cui lavora Save the Children con progetti di salute materno-infantile (India, Pakistan, Nepal e Uganda), l'assistenza al parto in aree rurali viene fornita approssimativamente alla metà delle donne assistite nelle zone urbane, mentre solo il 40% delle donne che non vivono nei grandi centri urbani effettua visite antenatali. Il divario è decisamente maggiore in Etiopia, dove si registra solo i 5% di donne assistite nelle zona rurali contro il 52% nei grandi centri urbani. E' il quadro che emerge dal rapporto 'Mondi dispari.
Ridurre le disuguaglianze per combattere la mortalità infantile' diffuso oggi da Save the Children in occasione del rilancio della campagna Every One.
In Africa Subsahariana nell'arco di un decennio, dal 2000 al 2010, la percentuale di parti assistiti da operatori sanitari qualificati è aumentato di un solo punto (dal 44 al 45%). Come risultato, ogni anno si stimano circa 287.000 morti materne nel mondo, di cui 2.200 avvengono nei paesi sviluppati e oltre 284.000, nei paesi in via di sviluppo. Tutto questo è ovviamente correlato anche allo scarso numero di operatori sanitari disponibili: se in Norvegia si ha in media un medico ogni 53 pazienti e nel Regno Unito 1 ogni 77, in Guinea e in Niger, ci sono rispettivamente un medico ogni 7.143 e 6.667 pazienti.
Mettendo a confronto le tre determinanti (reddito, istruzione materna e ambiente) che concorrono a determinare una maggiore o minore probabilità di vita di un bambino, affiora che le disuguaglianze più alte si riscontrano tra diversi livelli di istruzione: ben il 30% della popolazione e il 55% delle donne del Pakistan, ad esempio, terzo paese al mondo per numero di decessi neonatali, pari a 202.000 annui, sono analfabeti. Inoltre il benessere economico del Paese, spesso si accompagna solo parzialmente ad un miglioramento delle condizioni di vita e di salute per donne e bambini.
In India, dove dal 2004 al 2012 il PIL è più che raddoppiato, non segue una pari riduzione del tasso di mortalità infantile che in otto anni si abbassa solo da 58 a 46 decessi su 1.000 nati vivi nell'arco, e anzi aumenta nel 2010 nonostante un netto aumento del PIL registrato nello stesso periodo.
In Pakistan dal 2004 al 2010 il PIL è raddoppiato (da 98 milioni di dollari a 176), raggiungendo i 231 milioni nel 2012; tuttavia il ritmo osservato nella crescita del PIL non è lo stesso di quello del declino della mortalità infantile, che si è ridotta da 74,3 nel 2004 ad appena 61 nel 2012."Fermare la mortalità materno-infantile implica un impegno focalizzato esplicitamente sui gruppi di popolazione più vulnerabili: i più poveri - ha dichiarato Claudio Tesauro, presidente di Save the Children -. Fondamentale in questo quadro è l'apporto dei Paesi Grandi donatori e il rispetto degli impegni presi. L'Italia, ad esempio, si è impegnata finanziariamente con 75 milioni di dollari a supportare la Muskoka Initiative on Maternal, Newborn and Child Health, un'iniziativa internazione per la promozione della salute infantile e materna lanciata nel 2010, ma di fatto il nostro Paese è stato l'unico membro del G8 a non aver ancora mantenuto fede alle promesse fatte, visto che nel 2012 e ugualmente nel 2013 le erogazioni risultano pari a zero. Auspichiamo pertanto che il nostro Governo tenga fede agli impegni presi in ambito internazionale, e contribuisca a definire un nuovo quadro di sviluppo post-2015 che affondi le radici su di un criterio di equità".
Dopo 4 anni dal lancio della campagna Every One, sono 47 i Paesi dove Save the Children opera direttamente con programmi di salute materno-infantile e 1,2 miliardi di dollari i fondi raccolti in questi anni da destinare ai progetti di salute e nutrizione entro il 2015; grazie alla campagna, tra le altre cose, sono stati formati 274.962 operatori sanitari e sono state organizzate 19,3 milioni di azioni di mobilitazione per dire basta alla mortalità infantile. Nel solo 2012, l'Organizzazione ha realizzato 2,2 milioni di interventi per prevenire la morte durante il parto e per proteggere i bambini dalle principali malattie. |