“L’Africa deve alzarsi perché il nostro continente sarà il più colpito dal surriscaldamento globale” ha detto una delle manifestanti. “Non vogliamo ministri ambientali senza spina dorsale, come in passato. Colgano quest’occasione per chiedere all’Occidente un fondo speciale per aiutarci a fronteggiare questa minaccia” ha poi aggiunto, indossando una maglietta bianca con lo slogan ‘Il nostro clima, la nostra sopravvivenza’. Qualcuno innalzava cartelloni con l’immagine del presidente statunitense e accompagnata dalla seguente didascalia: “Ricercato… per crimini contro il pianeta’. “Questi bambini subiranno i cambiamenti climatici, così è nel loro diritto alzarsi e puntare il dito contro di noi” ha commentato uno degli organizzatori della marcia.
Il lago Nakuru, una delle più famose mete turistiche naturalistiche del Kenya oltre che uno dei più bei specchi d’acqua lacustri della Rift Valley, si sta trasformando in deserto. Lo riferisce stamani un articolo del quotidiano ‘The Nation’, uno dei più diffusi nel paese, precisando che quest’anno solo poche migliaia di fenicotteri si sono fermati per abbeverarsi alle acque del lago invece dei circa 800.000 che normalmente facevano tappa al lago di Nakura. Secondo il quotidiano keniano ormai i turisti presenti (circa 200.000 l’anno) possono spingersi a piedi fino al centro di quello che un tempo era uno degli specchi d’acqua preferiti dagli animali della zona circostante per abbeverarsi. La siccità che ha colpito il lago Nakuru ricorda molto da vicino quella che, poco prima, aveva ridotto a terra spaccata dal sole un altro lago turistico lungo la Rift Valley keniana, il lago Elmentaita, un tempo famoso per la migrazione dei pellicani, ormai scomparsi. In tutti e due i casi la crisi idrica è cominciata quando i corsi d’acqua che alimentano i laghi hanno dapprima ridotto la loro portata, poi si sono completamente prosciugati. Secondo il ‘Wildlife Service’ keniano, la causa della siccità va ricercata non solo nelle scarse piogge ma principalmente nella devastazione delle foreste, sia in Kenya sia nella vicina Tanzania. La scomparsa degli alberi ha lasciato enormi superfici esposte al sole e ha provocato l’azzeramento dell’effetto di contenimento e di conservazione dell’acqua espletato delle radici.
Stanchi di essere “le prime vittime” delle conseguenze del mutamento climatico, i Masai chiedono “un piano urgente” per contrastare le emissioni di gas serra. “Non piove più da tre anni, le mandrie muoiono, i bambini non vanno a scuola dovendo camminare chilometri per cercare l’erba per gli animali” hanno affermato alcuni rappresentanti della comunità Masai in una conferenza stampa a margine della XII conferenza internazionale sul clima in corso da alcuni giorni a Nairobi. “Le donne – raccontano - passano la giornata a cercare l’acqua e non posso più svolgere attività per guadagnarsi da vivere”. A causa del surriscaldamento del globo e della conseguente limitazione delle piogge, questo popolo semi-nomade - di cui mezzo milione vive in Kenya e 3,5 milioni in Tanzania - sta attraversando una vera crisi. “Il mio popolo non viaggia in 4x4, non parte per il week-end, non va in vacanza in aereo ma siamo noi a sopportare le conseguenze del cambiamento climatico” ha detto Sharon Looremetta, una masai aderente all’organizzazione non governativa britannica ‘Practical Action’ che sostiene la protesta. |