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Kenya, il dopo maremoto
Rapporto ONU
Il maremoto del 26 dicembre scorso, che ha travolto alcuni Paesi del sudest asiatico causando almeno 290.000 morti, può diventare un’occasione per ricostruire le infrastrutture distrutte nel rispetto delle risorse naturali. Lo suggerisce un nuovo rapporto del Programma ambientale delle Nazioni Unite (Unep), sottolineando che gli edifici e gli altri impianti "devono essere rimessi in piedi in zone meno vulnerabili e secondo criteri che li proteggano, insieme con i loro abitanti, da futuri tsunami" ma anche da eventuali tempeste, inondazioni, uragani e altri fenomeni naturali. Lo Sri Lanka, per esempio, ha già deciso di stabilire una zona non edificabile nei 200 metri che separano la costa dal mare. Nel rapporto - basato su indagini effettuate dall’Unep sul campo e diffuso durante il 23esimo Forum ambientale in corso a Nairobi, in Kenya – si sollecita una "mappa delle zone vulnerabili", per definire le località dove la costruzione di case, alberghi, imprese e altre infrastrutture debba essere proibita o severamente regolamentata. Dall’indagine è emerso inoltre che la natura, oltre a essere stata una vittima del maremoto, "ha contribuito in parte a ridurne l’impatto", per esempio laddove erano presenti barriere coralline, mangrovie e vegetazione costiera, in grado di attutire la violenza dello tusnami. Il rapporto dell’Unep mette però in guardia contro la contaminazione delle acque nei Paesi colpiti dalla catastrofe: infiltrazioni di acqua salata e batteri rischiano di causare una grave scarsità di risorse idriche e impedire l’irrigazione dei campi.
23/02/2005 - Fonte: MISNA

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