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Giornata mondiale dei malati di lebbra per vincere la lebbra dell'egoismo
31 GENNAIO 2010
Oggi, dunque, si celebra la Giornata mondiale dei malati di lebbra, promossa nel 1954 dal giornalista francese Raoul Follereau e riconosciuta ufficialmente dall'Onu. Solo nel 2009 si sono registrati 210mila nuovi malati, tre quarti dei quali riscontrati in India, seguita da Brasile, Repubblica Democratica del Congo e Nepal. Giunta alla 57.ma edizione, la Giornata ha come tema: “Salviamo la bellezza dell’uomo dalla lebbra”. Ma cosa serve, oggi, per guarire dal morbo di Hansen? Isabella Piro lo ha chiesto a Francesco Colizzi, presidente dell’Aifo, l’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau:

R. – Per guarire dalla lebbra, come ha sempre detto Follereau, serve soprattutto ricordare che chi ne è colpito è come se avesse una doppia condizione negativa: ha la lebbra ed è lebbroso, diceva Follereau, cioè vale a dire ha contratto una malattia dovuta a un germe, che può essere curata benissimo e guarita grazie ai farmaci scoperti ormai più di un quarto di secolo fa, ma bisogna lottare con ancora maggiore energia contro la definizione di lebbroso. Il fatto è che una persona purtroppo, anche se guarita e soprattutto se mantiene le stigmate della malattia e cioè le disabilità, le menomazioni, la mutilazione degli arti, la cecità, le deformità del viso, continua a essere ritenuta una persona da emarginare, da isolare, da tenere esclusa dal resto della società. In questa condizione vi sono, purtroppo, ancora qualcosa come 10 milioni di persone nel mondo. Il nostro motto, quindi, è “salviamo la bellezza dell’uomo dalla lebbra”, rammentiamo a tutti che ogni essere umano ha un valore infinito.

D. – Perché questa malattia viene così spesso dimenticata dai mass media?

R. – Vi sono delle malattie che, siccome non sono le malattie dell’Occidente e siccome non sono malattie per cui ci può essere un mercato farmaceutico, perché sono malattie che colpiscono soprattutto le persone più povere, non interessano. La lebbra è una di queste. Questo è un ulteriore motivo della nostra battaglia contro la lebbra. Del resto, noi riteniamo che la lebbra scomparirà davvero dal mondo quando si saranno sradicate le radici perverse che generano la povertà estrema, perché anche il germe della lebbra è un germe poco infettivo, che se viene contratto da una persona in buona salute e con buone difese immunitarie, non crea la malattia. Abbiamo l’esempio di Follereau che ha abbracciato e baciato centinaia e centinaia di lebbrosi e non ha mai contratto la malattia. È questo, dunque, il punto fondamentale: fare la lotta alla povertà estrema e, quindi, alle altre lebbre e cioè alle guerre, alle violenze, all’indifferenza e all’egoismo.

D. - Ad aprile 2009 l’Organizzazione mondiale della sanità ha definito una nuova strategia mondiale per la lotta alla lebbra nel quinquennio 2011-2015. Quali sono gli obiettivi primari di questo piano di azione?

R. – La raccomandazione ai governi è quella di continuare le campagne di informazione e di educazione sanitaria nei villaggi più sperduti dei Paesi più colpiti, mantenendo dei centri di riferimento per la malattia e sviluppando sempre più azioni progettuali di carattere riabilitativo, finalizzate a fare in modo che le persone possano rientrare nelle comunità, rientrare a pieno titolo e con la piena dignità e la possibilità di avere un lavoro, di farsi una famiglia, di avere una casa. Altro punto molto importante, poi, è quello di evitare che i figli delle persone che abbiano sofferto di lebbra siano indirettamente colpiti dallo stigma e siano messi in difficoltà nella frequenza delle scuole.

D. – Vogliamo ricordare le iniziative di solidarietà organizzate dall’Aifo per questa Giornata mondiale dei malati di lebbra?

R. – Quest’anno, negli stadi di calcio, gli allenatori di Serie A e di Serie B faranno esporre un grande striscione, il cui titolo è: “Gli allenatori allenano alla solidarietà”, che richiama le persone a riflettere su questa malattia, a fare qualcosa e magari anche ad inviare un sms, per cui facendo il numero 48582 sarà possibile donare anche semplicemente un euro alla solidarietà.

D. – Accanto a tutto questo, naturalmente, c’è il cosiddetto “miele della solidarietà”….

R. – Sì. Noi diamo questi vasetti di miele, che sono prodotti dal Circuito equo e solidale, in cambio di una donazione. Chiunque dona qualcosa – sia denaro, sia tempo o il suo cuore – riceve in cambio qualcos’altro e questo qualcosa che riceve è sempre qualcosa di dolce, di lenitivo, di curativo anche per la nostra anima. Il miele è, quindi, soprattutto simbolo di questo scambio profondo che avviene da una parte e dall’altra nei momenti di vera solidarietà, di vera donazione, di scoperta della gratuità.
31/01/2010 - Fonte: Radio Vaticana

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