Mentre la situazione continua ad aggravarsi, soprattutto in Sierra Leone, emergono altri problemi sociali. L’epidemia continua a perseguitare anche quei pochi che riescono a sconfiggerla. Dopo aver perso beni e familiari, non riescono a reintegrarsi perché ormai sono “segnati” dal virus.
Chi sopravvive alla malattia (circa il 30% dei casi), una volta fuori dall'ospedale, deve lottare contro stigma, perdita di guadagni, dolore e senso di colpa per la perdita di famiglia e amici. A molti infatti (se non tutti,) i vengono distrutti tutti i beni per evitare la trasmissione della malattia, e in alcuni casi i familiari sono restii ad accettare bambini rimasti orfani.
Nel frattempo il bilancio dell’epidemia continua ad aggravarsi. La conta dei morti e dei contagiati non si ferma. Al 13 dicembre, ultimo bilancio disponibile, i morti erano 6841 e più di 18 mila i casi segnalati nei tre paesi colpiti dell’Africa occidentale: Liberia, Guinea e Sierra Leone. In quest’ultimo paese, inoltre, sono state vietate le celebrazioni pubbliche di Natale e Capodanno per evitare contatti che possano aumentare la diffusione del virus. Per vigilare che nessuno festeggi in luoghi pubblici, Freetown ha deciso di schierare l’esercito, così da impedire che la gente esca di casa. L’annuncio è stato dato domenica dal responsabile governativo per l’emergenza, Palo Conteh. Si ricordi che l’Islam è la religione dominante in Sierra Leone, tuttavia oltre un quarto della popolazione è cristiana e durante i periodi di feste religiose è usanza e abitudine riunirsi in strada per festeggiare.
Rimane, tuttavia, il problema molto serio del reintegro delle persone che hanno superato la malattia e che si trovano, di colpo, ai margini della società. Sembra quasi che l’epidemia li abbia condannati alla dannazione. Per aiutare il reintegro dei sopravvissuti (circa il 30% di tutti i contagiati) nella loro comunità, i Center for disease control di Atlanta (Cdc) hanno avviato due progetti in Liberia e Sierra Leone.
Secondo un rapporto del ministro della Salute della Sierra Leone e dei Cdc, nel 96% della popolazione è sono stati segnalati comportamenti discriminatori verso le persone con il virus, come era facile attendersi. Ciò scoraggia molti a farsi fare il test per la malattia e aumenta le difficoltà degli operatori nel tracciare la catena dei contatti avuti dai malati.
Molti sopravvissuti ora lavorano, condividendo le loro esperienze via radio o con altri mezzi di comunicazione, prendendosi cura dei malati di Ebola e dando supporto spirituale alle persone contagiate. Un consorzio composto da Cdc, Ong e governo della Sierra Leone sta coordinando aiuti finanziari e psicosociali per queste persone, tramite anche il cosiddetto “pacchetto sopravvissuti”, che include denaro, biancheria da letto, vestiti e altri oggetti essenziali per la vita di tutti i giorni.
Inoltre dei consulenti li accompagnano a casa per facilitarne il reintegro e fanno da mediatori con i membri della comunità locale convincendoli sul loro reinserimento.
Anche in Liberia è stato avviato un programma di supporto psicosociale per ridurre lo stigma contro gli scampati al virus e per motivare le comunità a segnalare i casi. Anche in questo caso viene consegnato un “kit della solidarietà”, che include materasso, lenzuola, asciugamani, zanzariere trattate con insetticidi, sapone, riso, olio da cucina, giochi per i bambini, vestiti e denaro per comprare cibo. Il tutto accompagnato dalla “cerimonia della reintegrazione” in cui si decora la casa dei sopravvissuti con palme come simbolo di un'occasione di festa.
In Liberia, è inoltre iniziato il trattamento dei pazienti colpiti da Ebola con la sieroterapia, una cura sperimentale ricavata dal sangue delle persone guarite dalla malattia. Il plasma dei guariti, infatti, contiene gli anticorpi contro il virus ed è fra le terapie sperimentali di cui l’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda lo studio. I malati curati in Occidente hanno già ricevuto questo tipo di trattamento. I medici monitoreranno sicurezza ed efficacia della sieroterapia somministrata all’Elwa Hospital di Monrovia. Un gruppo di operatori del sistema sanitario liberiano è stato formato per somministrare la cura sperimentale. Tutto questo, spiega alla Bbc David Hoover, il direttore del programma, «consentirà ai sistemi sanitari locali di diventare più autosufficienti e servire meglio i loro pazienti durante l’epidemia in corso e anche in futuro». |