A sole due settimane dall'inaugurazione, il 25 gennaio scorso è crollato, in Etiopia, un tunnel della diga Gilgel Gibe II, un mega progetto dell'italiana Salini cofinanziato dal governo italiano. La diga era stata inaugurata il 13 gennaio scorso, con ben sei mesi di anticipo rispetto al termine contrattuale, alla presenza del ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini.
Il crollo ha interessato un tunnel lungo 26 chilometri e avrebbe dovuto generare energia sfruttando la differenza di altitudine fra il bacino della Gilgel Gibe I e il fiume Gibe. Secondo quanto dichiarato dalla società costruttrice, un imprevisto geologico avrebbe provocato «una venuta di materiale, che ha interessato circa 15 metri del tunnel» causando un inevitabile black-out. La Salini ha fatto sapere che i lavori di riparazione dureranno due mesi.
Il progetto, fortemente criticato per le modalità con il quale è stato realizzato, è stato cofinanziato dall'Italia con 220 milioni di euro. Secondo la Campagna per la riforma della Banca Mondiale (Crbm), la diga rischia di creare gravi danni al fragile equilibrio naturale della valle del fiume Omo, nel nord ovest dell'Etiopia, oltre a mettere a rischio la sopravvivenza stessa del Lago Turkana, vicino al confine con il Kenya. La scarsità di risorse, potrebbe inoltre aumentare la conflittualità tra le comunità dell'area, con un'escalation che coinvolgerebbe anche il vicino Kenya.
Dura la reazione della Crbm che ha ammonito: «La superficialità con la quale vengono messe in piedi queste opere, senza reali studi, è molto pericolosa». A destare preoccupazione anche il nuovo progetto in cantiere della Salini, alle prese con la costruzione, 150 chilometri più a valle, della diga di Gilgel Gibe III. La diga sarà alta 240 metri. Il cedimento di una struttura del genere potrebbe causare, secondo gli attivisti, «un disastro di proporzioni apocalittiche». |