“La gente ha ancora negli occhi e nel cuore la visita di Giovanni Paolo II nel 1993 nella città di Gulu” dice alla MISNA padre Tarcisio Pazzaglia, comboniano, da oltre 35 anni impegnato in nord Uganda, in quell’Africa che il Papa-pellegrino amava in particolare e dove visitò ben 42 Paesi. Il missionario italiano risponde al telefono da Kitgum, a poche decine di chilometri dal confine con il Sudan: “Ricordo che dodici anni fa, oltre 2.500 persone della mia comunità andarono a Gulu a piedi, con un pellegrinaggio di tre giorni lungo più di 100 chilometri, per partecipare alla messa del Pontefice. Oggi durante le celebrazioni e i momenti di preghiera, molti fedeli, soprattutto gli adulti, hanno ricordato quell’incontro con il Papa”. Karol Wojtyla, aggiunge padre Carlos Rodriguez Soto, raggiunto proprio nella città di Gulu, “è stato uno dei pochi leader mondiali a denunciare con forza le violazioni dei diritti umani perpetrate nel conflitto in Nord Uganda, mentre altri restavano in silenzio di fronte a questa tragedia”. Da oltre 18 anni la regione è scossa da una guerriglia interna che ha provocato migliaia di vittime e oltre un milione di sfollati. “Papa Wojtyla ha avuto il coraggio di chiedere continuamente la fine di questa guerra, nei suoi messaggi pubblici e più di una volta anche alla recita dell’Angelus domenicale” aggiunge il religioso, anch’egli comboniano. La notizia della morte di Giovanni Paolo II, in Africa, è arrivata soprattutto dalle frequenze delle emittenti radiofoniche, sia internazionali che locali: le radioline a transistor sono il principale mezzo di comunicazione in tutto il continente, raggiungendo anche le località più isolate. “In Liberia purtroppo il Papa non riuscì a fare visita a causa della guerra civile” racconta alla MISNA l’italiano padre Mauro Armanino, raggiunto per telefono nella capitale liberiana Monrovia. “Era l’inizio degli Anni Novanta, i combattimenti impedirono la presenza del Pontefice. Ma non dimentichiamo che anche nel 2003 il Papa era intervenuto pubblicamente, durante la recita dell’Angelus domenicale, per denunciare la guerra in Liberia e chiedere di pregare per la pace” aggiunge il missionario. Che aggiunge: “Questo è un aspetto importante, che stamani ho voluto ricordare ai fedeli durante le messe che ho celebrato”. A Monrovia – dove dopo due anni dalla fine dei combattimenti si cerca di costruire quel futuro di pace auspicato da Giovanni Paolo II – “la gente, in un Paese a prevalenza protestante, mi ferma per strada per esprimere cordoglio e partecipazione al dolore, in un clima di comune mestizia”, conclude padre Armanino, della Società delle missioni africane (Sma). Maurice Henry, un missionario irlandese raggiunto nel nord della Nigera, riferisce alla MISNA che sono stati proclamanti nove giorni di preghiera nella diocesi di Kano, nel nord della Nigeria, una zona già teatro di scontri tra gruppi rivali riconducibili a cristiani e musulmani, motivati soprattutto da cause socio-economiche. Anche nella Repubblica democratica del Congo riecheggia ancora il messaggio di pace di Giovanni Paolo II (che visitò l'allora Zaire nel 1980, prima della disastrosa guerra di fine Anni Novanta): “Questo Papa resta nella storia del nostro Paese – scrive padre Luigi Lo Stocco, vicedirettore dell’emittente ‘Radio Maria Malkia wa Amani – insieme a tutte le sue prese di posizione in favore della pace nella regione africana dei Grandi Laghi”. |