“In Kivu si cerca di alimentare l’instabilità per consentire il saccheggio delle risorse minerarie”: lo ha dichiarato monsignor Nicolas Djomo Lola, presidente della Conferenza episcopale del Congo (Cenco), nel primo pronunciamento ufficiale della Chiesa locale dopo la caduta di Goma, passata due giorni fa sotto il controllo dei ribelli del Movimento del 23 marzo (M23).
“Mentre parlo, migliaia di persone stanno vagando per le strade di Goma e dintorni senza ricevere alcuna assistenza” ha sottolineato il presidente della Cenco, che è anche vescovo di Tshumbe (Kasaï Orientale), deplorando che “da quasi 20 anni queste popolazioni vivono nella miseria più totale, nell’instabilità, nel tormento, vittime di stupri e violenze”. Monsignor Djomo Lola ha fatto riferimento agli eventi risalenti al 1996, quando l’Alleanza delle forze democratiche per la liberazione del Congo (Afdl) entrò nel capoluogo del Nord-Kivu, segnando l’avvio della guerra che portò alla caduta del regime di Mobutu e all’ascesa al potere di Laurent Désiré Kabila, padre dell’attuale capo di Stato, Joseph. Il presidente della Cenco, ha aggiunto l’emittente locale ‘Radio Okapi’, ha anche sollecitato “il pieno coinvolgimento della comunità internazionale per porre fine alla guerra”. Dalla nascita della ribellione, sette mesi fa, in più occasioni la Chiesa congolese è scesa in piazza a Kinshasa, Bukavu e in altre città del paese per denunciare il “tentativo di balcanizzazione della Repubblica democratica del Congo” da parte dell’ennesimo gruppo armato attivo nell’Est.
Riuniti a Kinshasa un centinaio di vescovi africani – presidenti delle Conferenze episcopali e delle Caritas di 34 paesi del continente – hanno lanciato un appello per la fine del conflitto e il rispetto dell’integrità territoriale del Congo. “Siamo indignati e scioccati nel costatare che la guerra riaccesasi alcuni mesi fa nell’Est del paese si sta espandendo e sta causando un grave dramma umano (…) Un conflitto imposto a migliaia di civili sconvolti e buttati ancora una volta in mezzo alle strade senza niente” hanno sottolineato i presuli, preoccupati per l’emergenza umanitaria che si sta creando a Goma e dintorni. Insieme ai vescovi congolesi, hanno chiesto a tutte le parti coinvolte – governo congolese e dei paesi vicini, Unione Africana, Nazioni Unite, Unione Europea e multinazionali del settore minerario – di “risolvere una volta per tutte il problema alla radice, facendo smettere lo sfruttamento illegale delle risorse, causa delle violenze ricorrenti”, invitandoli a seguire la strada del “dialogo nella verità e la trasparenza per trovare con urgenza una soluzione giusta e concertata che ponga un termine alle sofferenze dei civili”.
La locale Caritas Développement Congo (Cdc), con il supporto della rete delle Caritas africane si sta già attivando per organizzare una risposta umanitaria all’emergenza creatasi nel territorio di Goma. Negli ultimi giorni più di 50.000 nuovi sfollati hanno raggiunto il campo di ‘Mugunga 3′, a sud del capoluogo; si aggiungono ai 60.000 arrivati dalla struttura di Kanyarushinya, abbandonata dopo l’occupazione delle vicine località da parte dei miliziani del Movimento del 23 marzo. Fonti locali della MISNA riferiscono di condizioni di vita sempre più precarie nei campi sfollati e in tutte le strutture della Chiesa e delle missioni locali che hanno accolto civili in fuga, soprattutto donne, bambini ed anziani, “che hanno camminato per ore sotto la pioggia”; scarseggiano medicinali, acqua potabile e cibo ma anche personale medico-sanitario. |